UNA CALABRIA VITTIMA DELLA POLITICA CHE ROMA CERCA DI MIGLIORARE

Una Calabria vittima della politica che Roma cerca di migliorare 
“Non è l’arena”, ma è sicuramente un plotone di esecuzione contro i calabresi e non solo.
Tre settimane fa a essere passato per le armi è stato un giovanissimo presidente del Consiglio comunale di Catanzaro, Marco Polimeni, che è stato sottoposto a un fuoco di fila con “fucili caricati a lupara” da tre grossi calibri del giornalismo televisivo come Massimo Giletti, Alessandro Cecchi Paone e Luigi Paragone. Sceneggiate à gogo che non si sono fermate neanche quando il giovane (mai indagato) è stramazzato a terra, anzi i matador lo hanno finito a colpi di banderilla e spada. Non prima, però, di avergli strappato la promessa che avrebbe partecipato alla manifestazione di Catanzaro del 18 gennaio scorso, quasi fosse penitenza per i “peccati” commessi da alcuni consiglieri comunali del capoluogo calabro (che comunque, e nella misura in cui si dimostrerà la loro personale responsabilità in eventuali reati, non avrebbero giustificazione alcuna).
Niente di male nel partecipare alla manifestazione di Catanzaro, a patto però di non considerarla un’adunata con l’obbligo di presenza. Comunque, a scatenare la furia e le grida di Giletti, sembra sia stato un “suggerimento” che “l’imputato” Polimeni avrebbe ricevuto durante la trasmissione, come se i leader politici, ospiti fissi nei vari studi televisivi, non fossero liberi di consultare costantemente il telefonino per avere dati in tempo reale.
La scena s’è ripetuta domenica scorsa, anche se con toni decisamente più pacati, con una giornalista calabrese a cui Cecchi Paone ha gentilmente consigliato di “vergognarsi” mentre Giletti s’è lamentato per la scarsa partecipazione alla manifestazione “pro Gratteri” alla quale, secondo il conduttore televisivo “c’erano 1.500 persone mentre ce ne dovevano essere 10mila”.
Non una parola sul fatto che la maxi operazione “Rinascita-Scott” cade a pezzi e ben 152 misure cautelari (quasi la metà) chieste dalla Procura sono state riformate, mentre un centinaio di persone, che non andavano arrestate, hanno recuperato la libertà.
Mi occupo di questa vicenda perché c’è un impostura contro i calabresi che va in scena costantemente e a reti unificate.
Si descrive una Calabria con un ceto politico decisamente inadeguato, con servizi da terzo mondo, una stampa generalmente men che mediocre, un tasso di disoccupazione altissimo, un ambiente compromesso e una associazione criminale tra le più potenti del mondo. Tutte cose vere!
Ma si dimentica la Storia, perché non si vuole dire che noi siamo così perché altri ci hanno ridotto nella condizione attuale. Ci sono studi inconfutabili che dimostrano che è stata sconfitta una Calabria che rispetto alla situazione generale era produttiva, colta, dinamica, forse ribelle, per far spazio a una Regione rassegnata, imbelle, improduttiva, politicamente e culturalmente subalterna e marginale.
Ma Giletti, Paragone e Cecchi Paone, nell’ignorare questi studi, fanno - consapevolmente o meno non ha importanza - una lucida operazione politica, perché da un lato esaltano acriticamente chi rappresenta il potere repressivo e con ambizioni di comando sulla Calabria, mentre dall’altro descrivono una società civile calabrese allo sfascio, come se ciò non fosse una conseguenza di una storia che ci ha visto soccombere. È un falso piuttosto sofisticato, perché da un tale ragionamento si potrebbe dedurre che i calabresi non sarebbero in grado di autogovernarsi e, quindi, ancora una volta, bisogna che qualcuno vi provveda dall’alto.
Le recenti elezioni regionali ne sono la dimostrazione. Chi ci governerà? Sicuramente chi è responsabile in linea storica della situazione attuale, ma non lo farà con i partiti, i sindacati, la piccola borghesia e la Chiesa, ma attraverso i “PM di assalto”, i “colonelli”, i prefetti, i capi ‘ndrangheta e un pessimo ceto burocratico. E per non avere sensi di colpa metteranno in scena processi sommari come quello organizzato contro Marco Polimeni. Si tratta di un nuovo colonialismo che non si fa con i carri armati né con le truppe coloniali, perché bastano e avanzano le reti televisive, i grandi giornali, il pensiero unico. Il “nostro” pessimo ceto politico avrà solo una funzione coreografica come i rais avvolti nelle loro piume nelle colonie di fine ‘800.
Questo impone a noi il dovere di resistere non solo come calabresi ma innanzitutto come persone, perché Politica non è solo governo e non è solo trovare un posticino nella “stanza dei bottoni”, ma è anche “resistenza” ai poteri non democratici, “contro opinione” rispetto al pensiero unico, “contro informazione” rispetto al regime, capacità di ripartire sempre e ancora una volta e, finché ne avremo la forza, dal basso, per gettare le basi di un governo democratico e per seminare granelli di utopia. 

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